È successo in estate, più vent’anni fa, ai tempi dell’università. Ero su un autobus, diretta al mare: volevo passare la giornata in spiaggia assieme a un’amica. Ho cominciato a sentirmi male, mi sentivo soffocare, avevo la sensazione di svenire e sentivo il cuore che batteva troppo velocemente.

Ero terrorizzata e non capivo il perché. Era il mio primo attacco di panico.

Sono corsa giù dall’autobus e sono tornata a casa sperando che mi passasse. C’era con me il mio ragazzo di allora: anche lui non sapeva assolutamente che pesci pigliare. Dopo un po’ mi sono fatta accompagnare al pronto soccorso: pensavo ci fosse qualcosa che non andava al cuore, perché batteva troppo forte. Mi hanno visitato e subito mi hanno dato un calmante: ho capito che il mio cuore stava benissimo e che il problema era un altro.

Da quel giorno, per diversi mesi, ho avuto attacchi di panico violenti quasi ogni giorno, e anche quando non li avevo vivevo nel terrore che potessero arrivare da un momento all’altro. Ogni situazione rappresentava una minaccia: attraversare un ponte, entrare in un supermercato, prendere un autobus. Ho capito di avere a che fare con un problema complesso, difficile da risolvere, e così mi sono rivolta a uno psichiatra che mi ha consigliato di cominciare una psicoterapia.

Piano, piano, con il passare del tempo, ho cominciato a capire come mi dovevo comportare con questo disturbo. Ho capito che potevo gestire l’attacco di panico, che non era necessario correre a chiamare aiuto e che potevo imparare a calmarmi da sola. Mi sdraiavo, prendevo un ansiolitico e semplicemente aspettavo. Mi ripetevo: «Devi solo aspettare che passi, solo aspettare che passi». Immaginavo di essere in un mare agitato e mi dicevo che dovevo solo «fare il morto», galleggiare sulle onde finché la tempesta non si fosse calmata.

Gli attacchi di panico si nutrono della tua paura: più li temi, più tornano a trovarti. Quando ho capito che non c’era niente da avere paura e ho cominciato a considerarli solo come dei disturbi fastidiosi, non più gravi di un’emicrania, me ne sono venuti sempre di meno. Fino a scomparire del tutto.

Ne sono stata libera per oltre dieci anni, ma poi verso la fine del 2012, il problema si è ripresentato. Era un momento difficile della mia vita: stavo fronteggiando diverse difficoltà, tra cui un grave lutto. Stavolta l’ansia si è manifestata in un modo leggermente diverso: gli attacchi di panico erano più rari, venivano solo durante la notte. Però vivevo ostaggio di mille malesseri diversi: tachicardia, formicolii, respiro corto, vertigini, nausea, gambe molli. Si chiama disturbo d’ansia generalizzato, una specie di inferno quotidiano senza senso.

Anche stavolta, dopo avere escluso problemi di tipo organico, ho scelto la psicoterapia, però con una consapevolezza diversa. Rivolgersi agli specialisti è senz’altro importante, in molti casi necessario, soprattutto quando è la prima volta che si fronteggia questo problema. Però, alla fine, la verità è che una «cura» nel verso senso della parola non esiste. Spesso gli attacchi di panico vengono trattati con gli psicofarmaci, ma non sempre funzionano. La psicoterapia può essere utile per rivedere il proprio vissuto e fare chiarezza su cosa sta accadendo. Però tutto questo non è sufficiente, o almeno non lo è stato nel mio caso. Continuavo a stare male, con i sintomi di ansia generalizzata durante il giorno e qualche attacco di panico durante la notte. Allora ho considerato la situazione da un punto di vista diverso. Ho preso un periodo di aspettativa dal lavoro e ho cominciato a occuparmi solo della mia salute. Facevo yoga, meditazione mindfulness, camminate all’aria aperta.https://2fe35238c2a68e7ae8180c3d2b1b3a00.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-38/html/container.html

Ho capito che per stare meglio dovevo rivedere alcune cose della mia vita che non stavano andando come avrei voluto. È stato lì che ho deciso di mettermi a scrivere. La scrittura è sempre stata la mia passione, ma con il tempo ci avevo rinunciato. Allora ho cominciato a studiare libri di psicologia e self help, sui temi dell’ansia ma anche sul benessere psicologico in generale, e ho cominciato a scrivere di quello che imparavo su un blog.

Scrivere per me è sempre stato importante. In un certo senso è una forma di meditazione: ti concentri sui tuoi pensieri, li fai fluire sul foglio. Scrivere aiuta a sciogliere un sacco di nodi, a prendere le distanze dalle nostre esperienze, a rielaborarle. Basta comprare un quaderno e scrivere un po’ ogni giorno, ritagliarsi uno spazio di quiete per se stessi. Io lo trovo molto terapeutico.

Dopo il blog, è venuta l’idea di scrivere un libro. Quando ho cominciato a stare meglio e sono tornata a lavorare ho pensato di scrivere della mia esperienza. Volevo raccontare com’è vivere con questo fardello, senza fare del vittimismo, ma spiegando per bene cosa sono l’ansia e gli attacchi di panico. Purtroppo c’è un problema di comunicazione su questi temi: molte persone pensano che si tratti di disturbi poco importanti, di sciocchezze che si possono superare con un po’ di forza di volontà. Altri ancora hanno paura, perché sono disturbi della mente e su questo esiste ancora un forte stigma. Non siamo abituati a trattare la salute mentale come parte della salute in generale. Ci sembra normale curarci del nostro corpo, ma l’idea che anche la mente possa avere problemi e abbia bisogno di essere tenuta in salute ancora non fa parte della nostra cultura.

Tutto questo però non fa altro che peggiorare la situazione di chi sta male. Già hai l’ansia e gli attacchi di panico, poi senti anche la diffidenza di chi ti sta attorno, la mancanza di comprensione. Allora finisce che ti vergogni, e così stai male due volte: l’ansia e la vergogna rischiano di alimentarsi a vicenda. Per questo ho scritto questo libro, che si chiama La rana bollita. Una storia d’ansia, attacchi di panico e cambiamento. Per elaborare la mia vicenda e smettere di vergognarmi, e perché altri potessero riconoscersi nel mio racconto e forse sentirsi meno soli.

Se dovessi dare un consiglio a una persona che si trova a soffrire di attacchi di panico per la prima volta, direi soprattutto due cose. La prima è: impara a fronteggiarli. Sono orribili, fanno molta paura, un’esperienza terrificante, ma alla fine non ci possono fare davvero del male. Quando smetti di averne paura e ti prendi cura di te stesso e del tuo malessere con dolcezza e comprensione, allora crei un terreno fertile affinché il panico venga a trovarti sempre meno spesso. Secondo consiglio: chiedi aiuto al medico di famiglia, allo specialista, allo psicoterapeuta. Un aiuto è necessario. Però non delegare il tuo benessere a queste figure, cerca di capire quali sono le cure che ti vengono proposte, informati e scegli. E cerca anche di capire cosa fa bene a te, di cosa hai bisogno per stare meglio. Fare del movimento e coltivare un’attività creativa per me sono stati una vera medicina.

Storia presa da Vanity Fair.

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