Mi chiamo Martina Santi e ho 30 anni. Sono sposata, ho una bimba di 16 mesi e un cane. Oggi lavoro come consulente scientifico e sono una moglie e una madre appagata. Ma ho dovuto lavorare duramente per raggiungere la serenità.

Quando ero una bambina, negli Anni Novanta, ho cominciato a convivere con il disturbo ossessivo compulsivo, pur senza riconoscerlo come tale: questa malattia è molto subdola e in pochi, anche tra gli psichiatri, sanno riconoscerla.

Allora, né io né i miei genitori abbiamo saputo attribuire i miei atteggiamenti ad un disturbo psichiatrico. Provavo ansie che mi portavano a compiere azioni «riparatorie» per evitare che si verificasse qualche disastro.

Le sensazioni inquietanti sono aumentate con l’adolescenza, mentre frequentavo il liceo classico, e hanno preso la forma di ossessioni religiose e superstiziose che mi costringevano a mettere in atto compulsioni diverse. Ad esempio, preghiere, richieste di rassicurazione ai miei familiari e azioni scaramantiche. I problemi si sono aggravati all’università: ho frequentato la facoltà di Medicina e Chirurgia per 4 anni, con buoni risultati, ma ho dovuto interrompere lo studio per la difficoltà che avevo nel concentrarmi e nel sostenere lo stress.

Se si dà spazio al disturbo, mettendo in atto le compulsioni ogni volta che un’ossessione si affaccia alla mente, inevitabilmente la malattia conduce con rapidità supersonica ad una vita infernale. Per esempio, ogni volta che mi veniva un dubbio religioso trascorrevo ore ed ore, pomeriggi interi a rimuginare da sola chiusa in una stanza, e alla fine scoppiavo sempre a piangere. E, per il pianto, poi mi addormentavo. Così è trascorsa la mia giovinezza.

Il disturbo ossessivo compulsivo prende tutto quello che hai e lo frantuma: tempo, energie, vitalità, sogni. Tutto si riduce nel mettere in atto le compulsioni e farsi divorare dall’ansia. Io l’ho fatto: ho seguito la malattia, che mi ha portato quasi al suicidio. Tutti pensano che l’adolescenza e la giovinezza siano il periodo più bello e spensierato della vita: io ne sono stata privata, costretta in un inferno di solitudine e paura.

Non è facile saper riconoscere dall’esterno i caratteri della malattia, anche perché le persone ossessive sono abili a mascherare in pubblico le loro compulsioni: dentro di loro, sanno che quello che vivono non è normale e cercano di non mostrarlo. Io mi sono confidata con diverse persone, ma una sola è riuscita ad intravedere la patologia nei miei schemi mentali. E mi ha indirizzata a uno specialista.

Lo psichiatra è in grado di curare il disturbo ossessivo compulsivo, se veramente se ne vuole uscire. I farmaci sono importanti perché aiutano, anche se non sostituiscono, la persona a combattere la sua battaglia con la malattia. Perché di questo si tratta: di una malattia, come il diabete, il tumore, la gotta. Finché non verrà sdoganata l’idea che il cervello si può ammalare proprio come il cuore o il fegato, la gente continuerà a stare male inutilmente per una malattia che può essere curata.

Da quando ho cominciato a curarmi, ho preso in mano la mia vita e a fare un serio lavoro su me stessa. Mi sono conosciuta meglio e mi sto modellando per essere sempre di più la persona che vorrei essere. Le ossessioni sono ancora presenti nella mia vita: per farle sparire servirebbe un miracolo, dato che comunque si sta parlando di una malattia genetica. Ma ormai non mi limitano più e, anzi, sono un campanello d’allarme per poter tenere sempre la guardia alta contro pensieri invadenti e per gestire la mia vita con attenzione.https://3683c157c741f2b4f077edcaf74ce4c9.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-38/html/container.html

Chiedere aiuto è fondamentale, perché, anche se si crede di essere soli a gestire questo tipo di disturbo, in realtà i malati sono tantissimi, e più se ne parla, più semplice sarà per tutti venire allo scoperto ed accedere alle cure. Se non si chiede aiuto, il disturbo ossessivo compulsivo trascina in basso. Non importa quanto lievi siano i sintomi all’inizio: se si mette in atto una compulsione ogni volta che arriva un’ossessione, questa comparirà sempre più spesso e con maggiore violenza. Bisogna mettere un freno prima possibile, rivolgendosi ad uno psichiatra.

Della mia malattia ho voluto scrivere un libro autobiografico e aprire un blog, per poter aiutare le persone a prendere consapevolezza dei propri disturbi ossessivi, perché soprattutto all’inizio non è semplice distinguere quando parla la propria mente e quando invece sproloquia la malattia. A me avrebbe molto aiutato avere vicino persone che mi insegnassero i «trucchetti del mestiere» per saper riconoscere in tempo le ossessioni e arginarle. Con i miei scritti, spero di poterli trasmettere, e dare un aiuto concreto.

Sono passati otto anni dalla mia diagnosi: il cammino è lungo e molto lento, ma il vantaggio è che il disturbo ossessivo compulsivo ti costringe a vagliare ogni pensiero per poter decidere se il comportamento che ne deriva è patologico o no. Insomma, insegna ad ascoltare la propria mente e ad agire di conseguenza: oggi mi sento una persona che sa dirigere se stessa e la propria volontà.

Storia presa da Vanity Fair.

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